“CHE MALE alle ossa, ma con questo tempo è inevitabile”. Se avete detto queste parole sappiate che la scienza potrebbe smentirvi. Se invece le avete sentite potreste citare a chi le ha pronunciate un paio di studi recenti, uno sul mal di schiena pubblicato su Pain Medicine, l’altro sul dolore da artrosi al ginocchio uscito su Ostheoartritis and Cartilage. Entrambi, coordinati dal George Institute for Global Health australiano, suggeriscono infatti che il clima con i dolori non c’entrerebbe, che il tempo atmosferico non li provoca, e nemmeno li anticipa.
Nesso o pregiudizio? Nonostante da tempo (almeno dall’epoca romana, ma già Ippocrate lo sospettava nel V secolo avanti Cristo) si ritenga che episodi di artrite o il mal di schiena possano essere innescati o acutizzati dalle condizioni meteorologiche o dai cambiamenti del clima, “la nostra ricerca suggerisce che questa convinzione si potrebbe basare sul fatto che la gente tende a ricordare gli eventi che confermano le loro convinzioni preesistenti”, ha dichiarato Chris Maher, in forza al George Institute, professore alla Sidney Medical School e autore di uno dei due studi. Come dire che il nesso tra clima e dolore potrebbe essere in pratica un pregiudizio, dovuto forse al fatto – come suggerisce una nota per la stampa – che tendiamo a far caso al malessere nelle giornate di pioggia e freddo, e a badarci meno nei giorni di clima mite. Saremmo dunque influenzati da noi stessi, e non dal tempo?
Le due ricerche. In sintesi, due diverse equipe di autori hanno arruolato circa 1000 persone con mal di schiena, e 345 con osteoartrosi del ginocchio, uomini e donne. Basandosi su dati meteo forniti dall’Australian Bureau of Meteorology, hanno poi confrontato le condizioni atmosferiche col dolore dei pazienti: nel momento in cui il sintomo veniva avvertito, e una settima e un mese prima della sua comparsa. Tutto ciò per un mese e per tre mesi rispettivamente per le due indagini. Il risultato? Nessuna associazione clinicamente importante è stata individuata tra riacutizzazioni di mal di schiena e temperatura, umidità relativa, pressione atmosferica, direzione del vento, precipitazioni, ecc. Stessa cosa per l’osteoartrosi del ginocchio: nessun nesso pervenuto.
Questione controversa. Come apprendiamo da un documento rilasciato dal George Institute, queste conclusioni vanno a rafforzare risultati già ottenuti in passato dalla stessa istituzione australiana. Conclusioni, leggiamo, che “hanno suscitato molte critiche di pubblico sui social media”. D’altronde la ragione di tanta risonanza mediatica si capisce: primo, perché il mal di schiena affliggepiù di un terzo della popolazione mondiale, e l’osteoartrosi circa il 10% degli adulti, e il 50% di chi ha superato i 60 anni. Secondo, perché questi risultati contraddicono altri studi che invece un nesso tra e clima e dolori articolari, reumatici, ma anche mal di testa, mal di denti e via soffrendo, l’avrebbero riscontrato. La questione è controversa.
Il bisogno di esperimenti riproducibili. “In realtà ci sono in letteratura dati a sfavore e a conferma del nesso tra condizioni meteorologiche e dolore artrosico o fibromialgico” approfondisce Elisa Gremese, responsabile della reumatologia del Policlinico Gemelli di Roma. “Ci sono dati pubblicati – spiega – che indicano una relazione diretta clima-dolore la cui base scientifica sarebbe da ricercare nella variazione di pressione atmosferica, che verrebbe avvertita anche a livello di articolazioni, riacutizzando il dolore, accentuandone la sensazione, anche prima che il tempo cambi visibilmente. Inoltre ci sono indicazioni sulla capacità del tempo, in particolare del brutto tempo: vento freddo, umidità elevata, eccetera, di influenzare in senso negativo l’umore. E sappiamo che l’umore, a sua volta, agisce sulla percezione del dolore. In questo caso si tratterebbe di un effetto mediato da una condizione interiore. Per arrivare a dati certi occorrerebbero studi sperimentali, matematicamente riproducibili, mentre in genere questo tipo di ricerche, anche quando si utilizzano campioni ampi, sono basate su dati riferiti dai pazienti”.