Che cos’è il tumore al seno?
La regione mammaria può andare incontro all’insorgenza di tumori che possono interessare oltre che l’epitelio e lo stroma della ghiandola vera e propria anche i tessuti molli, la cute ed il tessuto emopoietico e linfoide (Dionigi et al., 2016). Il carcinoma mammario è una proliferazione maligna delle cellule epiteliali che rivestono i dotti o lobuli della mammella. I tumori epiteliali della mammella rappresentano il cancro più comune nelle donne (esclusi i tumori cutanei) e rendono conto di circa un terzo di tutti i tumori femminili. Grazie ai progressi nel trattamento e alla diagnosi più precoce, la mortalità per cancro della mammella ha iniziato a diminuire in misura sostanziale.
Il tumore della mammella umano è una malattia clonale; ciò significa che una singola cellula trasformata – il prodotto di una serie di mutazioni somatiche (acquisite) o germinali – è in ultima analisi in grado di esprimere totalmente il potenziale maligno. Perciò il carcinoma della mammella può esistere per lungo tempo sia come malattia non invasiva, sia come malattia invasiva ma non metastatica. Queste osservazioni hanno risvolti significativi sotto il profilo clinico (Harrison et al., 2016).
Epidemiologia e fattori di rischio del tumore al seno
Il tumore al seno (carcinoma mammario CM) è la neoplasia maligna più frequente nelle donne (25% di tutti i cancri) ed è responsabile del 14,3% delle morti per cancro nel sesso femminile. In Europa, considerando uomini e donne assieme, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC) ha stimato che ogni anno ne vengono diagnosticati 464.000 (il 99% dei casi nelle donne). Stime europee di incidenza, prevalenza e mortalità riferite al 2016 mostrano che in Italia vengono diagnosticati circa 50.200 casi l’anno, più di un caso all’anno ogni 1000 donne.
Sempre in Italia, il CM ha rappresentato la prima causa di morte per tumore nelle donne, con 11.913 decessi, al primo posto anche in diverse età della vita, rappresentando il 29% delle cause di morte oncologica prima dei 50 anni, il 21% tra i 50 e i 69 anni e il 16% dopo i 70 anni. Mediamente, per una donna italiana, il rischio di ammalarsi nel corso della vita è oggi del 13%: circa una donna su 45 si ammala entro i 50 anni, una su 19 tra i 50 e i 69 anni, e una donna su 23 tra i 70 e gli 84 anni. La sopravvivenza dopo la diagnosi di tumore è uno dei principali indicatori che permette di valutare l’efficacia del sistema sanitario nei confronti della patologia tumorale.
La sopravvivenza infatti è fortemente influenzata dalla prevenzione secondaria e dalla terapia. I dati italiani di sopravvivenza relativa a 5 anni per una diagnosi di CM a partire dal triennio 1990-1992 fino al triennio 2005-2007 suggeriscono un importante incremento di sopravvivenza dal 78 all’87%, con dati che superano le sopravvivenze europee. Questo importante aumento a cui abbiamo assistito negli ultimi anni è certamente dovuto a diverse variabili, tra cui l’anticipazione diagnostica (legata agli screening) e il miglioramento delle terapie. Nelle donne senza segni e/o sintomi di CM la diagnosi di uno stato iniziale di malattia consente un trattamento più efficace e una probabilità maggiore di ottenere guarigioni.
Numerosi studi hanno dimostrato come lo screening mammografico possa ridurre la mortalità da CM (circa del 20%) e aumentare le opzioni terapeutiche. Si stima infatti che ogni 1000 donne sottoposte a screening biennale nella fascia di età 50-69 e controllate sino a 79 anni vengano salvate tra le 7 e 9 vite. Dalla seconda metà degli anni ’90 in Italia si sta assistendo a una costante flessione della mortalità che oggi risulta ridotta del 30% circa rispetto ai valori registrati alla fine degli anni ’80.
Fra i fattori che concorrono a determinare quest’andamento vanno senz’altro annoverati: la sempre più ampia copertura del territorio nazionale con programmi organizzati di screening mammografico rivolti alle donne fra i 50 e 69 anni di età, la crescente consapevolezza dell’importanza della prevenzione anche nelle donne giovani che in numero sempre maggiore si sottopongono con regolarità a controlli clinici ecografici, i progressi terapeutici e la diffusione della terapia sistemica adiuvante. La buona prognosi a lungo termine del CM presenta inoltre un andamento costante nel tempo: ad un anno dalla diagnosi la probabilità di sopravvivere altri 5 anni aumenta lievemente, così come quella a 5 anni dalla diagnosi.
È importante comunque ricordare che la prognosi e le percentuali di sopravvivenza variano considerevolmente in base allo stadio del tumore, al tipo istopatologico ed alla appartenenza ai diversi fenotipi molecolari da cui, in buona parte, dipende l’efficacia dei diversi trattamenti esistenti. La prognosi è inoltre influenzata dalla situazione fisiologica della donna (età, stato ormonale e riproduttivo, abitudini di vita come alimentazione, fumo, sedentarietà) o condizioni patologiche precedenti o concomitanti alla diagnosi e in grado di condizionare le terapie teoricamente disponibili (malattie cardiovascolari, diabete, malattie del sistema nervoso, malattie osteo-muscolari) così come pure dipende dalla possibilità per la donna di avere accesso a strutture specializzate per la diagnosi e la cura, in grado di offrire i migliori trattamenti che di solito hanno costi economici elevati (Veronesi U. et al., 2005; Linee guida F.O.N.Ca.M, 2017).
Come per la maggioranza dei tumori maligni, non si conoscono le cause del carcinoma mammario, tuttavia sono noti alcuni elementi, definibili “fattori di rischio” come la familiarità, la storia mestruale e quella riproduttiva, che aumentano la possibilità di sviluppare tale neoplasia.
Fattori di rischio nel cancro della mammella (Dionigi et al., 2016)
Fattori demografici
- età oltre i 30 anni
- sesso femminile (150:1 rapporto femmina/maschio)
Rischio notevolmente aumentato
- Anamnesi familiare positiva per cancro alla mammella in consanguinei di I grado
- Precedente carcinoma della mammella controlaterale
- Carcinoma non invasivo (carcinoma duttale o lobulare in situ)
Rischio moderatamente aumentato
- Menarca precoce
- Nulliparità o prima gravidanza a termine dopo i 30 anni
- Esposizioni a radiazioni ionizzanti nell’infanzia o nell’adolescenza
- Progresso cancro della mammella controlaterale ma con linfonodi negativi o recettori ormonali positivi
- Obesità
Le donne, con una parente di I grado affetta da cancro della mammella, hanno una probabilità doppia o tripla di ammalarsi di tale neoplasia e in età più giovane, rispetto alla restante popolazione femminile. I fattori mestruali comprendono un insieme di associazioni che rivelano l’importanza della funzione ovarica nella genesi del tumore. Il menarca dopo i 15 anni e la menopausa chirurgica sono associate con una più bassa incidenza di cancro della mammella, mentre il menarca precoce (sotto i 12 anni) e una menopausa tardiva (dopo i 50 anni) sono associati ad un lieve aumento di rischio di insorgenza di cancro mammario.
La caratteristica riproduttiva più stabilmente associata al rischio di cancro mammario è l’età all’epoca della prima gravidanza. Le donne che hanno avuto una gravidanza prima dei 18 anni presentano un rischio nettamente inferiore rispetto a quelle che concepiscono dopo i 30 anni e quest’ultime presentano a loro volta un rischio di poco inferiore rispetto alle nullipare. Parimenti, un allattamento a lungo termine (per più di un totale di 36 mesi) è stato considerato da alcuni ricercatori un fattore di protezione che riduce il rischio di cancro della mammella.
La relazione tra diete e incidenza del tumore è stata suggerita dalla maggior frequenza di questa neoplasia nelle popolazioni che consumano una dieta di tipo occidentale ed in particolare in quelle che fanno uso di certi fattori dietetici. I fattori genetici contribuiscono ad un esiguo numero di carcinomi della mammella, stimato intorno al 5%, ma potrebbero essere responsabili del 25% dei casi in donne con meno di 30 anni di età. Nel 1990, è stata identificata una regione sul braccio lungo del cromosoma 17q che contiene un gene, denominato BRCA1, che agisce come soppressore tumorale od oncogene recessivo, e che può fornire una regolazione negativa della crescita cellulare o forse essere coinvolto nel riconoscimento e nella riparazione di un danno genetico o di una mutazione spontanea.
Contemporaneamente all’identificazione del BRCA1, è stato individuato sul cromosoma 13q un secondo locus di predisposizione. Questo gene, conosciuto come BRCA2, può essere responsabile del 30% dei casi di carcinoma familiare della mammella. Mentre il BRCA1 predispone sia al carcinoma della mammella sia al carcinoma ovarico familiare, il BRCA2 sembra essere limitato al carcinoma mammario ed in queste famiglie possono verificarsi casi di cancro della mammella maschile. Entrambi questi geni insieme sono responsabili del 75% dell’ereditarietà ad alta penetranza del carcinoma della mammella (Dionigi et al., 2016).
Anatomia della ghiandola mammaria
La mammella è una ghiandola sudoripara modificata, ricoperta dalla cute. Adagiata sul muscolo grande pettorale è separata dalla fascia di questo da uno strato adiposo che è in continuità con quello interposto tra gli elementi ghiandolari. La mammella è costituita in gran parte (85%) da stroma (tessuto di supporto rappresentato essenzialmente da grasso) in cui è contenuto il parenchima, cioè la componente epiteliale funzionante (15%). Ogni mammella contiene 15-20 settori tra di loro indipendenti denominati lobi, ognuno dei quali è costituito da varie unità più piccole, dette lobuli. Ogni lobulo termina in una serie di sottili rigonfiamenti, detti acini o alveoli o ghiandole sacciformi, che possono produrre latte.
I lobi, i lobuli e gli acini sono tutti tra di loro collegati da sottili tubi denominati dotti (dotti galattofori), i quali convergono in corrispondenza del capezzolo situato al centro dell’area cutanea pigmentata detta areola. Lobuli e dotti si trovano immersi in tessuto adiposo, in cui si riscontrano anche vasi linfatici ed ematici. La linfa è un liquido chiaro che contiene prodotti di rifiuto dei tessuti e cellule del sistema immunitario. Essa si riversa in piccoli organi a forma di fagiolo denominati linfonodi (o ghiandole linfatiche), in gran parte situati nell’ascella e, pertanto, sono detti linfonodi ascellari.
Alcuni vasi linfatici conducono ad altri linfonodi situati ai lati della base del collo (linfonodi sopraclavicolari) o in prossimità dello sterno (linfonodi mammari interni o linfonodi della catena mammaria interna). Le cellule tumorali possono penetrare nei vasi linfatici per raggiungere i linfonodi dove possono moltiplicarsi aumentandone il volume (in tal caso, i linfonodi possono diventare clinicamente evidenti ed essere palpati) oppure entrare direttamente nei vasi sanguigni ed essere così trasportate, attraverso il sangue, in altre parti del corpo. In genere, se un tumore della mammella ha interessato i linfonodi, ha maggiori possibilità di essersi già diffuso in altri organi del corpo.
Anatomia della mammella (Atlante di anatomia umana, Netter)
La ghiandola mammaria nella donna è riccamente vascolarizzata da rami provenienti dall’arteria ascellare e dall’arteria mammaria interna. L’innervazione è assicurata dai nervi intercostali, dal nervo toracico e da rami derivanti dal plesso cervicale e brachiale. Il nervo toracico lungo, o nervo respiratorio esterno di Bell, che innerva il muscolo dentato anteriore, decorre vicino alla parete toracica, sul lato mediale dell’ascella. Il muscolo dentato anteriore è importante nel fissare la scapola alla parete toracica durante l’adduzione della spalla e l’estensione del braccio.
Durante la dissezione ascellare, si ha cura di risparmiare il nervo toracico lungo in quanto la sua denervazione esita nella deformità della scapola alata. Il secondo principale tronco nervoso è il nervo toraco-dorsale. Questo nervo ha origine dalla corda posteriore del plesso brachiale e si dirige nello spazio sotto la vena ascellare attraversando l’ascella sino alla superficie mediale del muscolo grande dorsale. Il nervo toraco-dorsale viene generalmente preservato durante l’asportazione dei linfonodi ascellari, a meno che il suo sacrificio non sia necessario per la completa rimozione dei linfonodi.
I grandi nervi sensoriali brachiali intercostali o nervi brachiali cutanei, che attraversano lo spazio ascellare, forniscono sensibilità alla superficie del braccio superiore ed alla cute della parete toracica lungo il margine posteriore dell’ascella. La recisione di questi nervi, che occasionalmente può verificarsi in corso di dissezione ascellare, è responsabile della comparsa di anestesia cutanea in queste aree.
La rete linfatica della mammella è riccamente sviluppata; sono presenti estese comunicazioni tra i linfatici superficiali della cute, il plesso sottoepiteliale, il plesso sottoareolare e il sistema più profondo che drena il parenchima mammario.
Il flusso in questi linfatici è unidirezionale verso la rete perilobulare o interlobulare e successivamente, seguendo i vasi venosi, verso le stazioni linfonodali. Fondamentalmente tre sono le vie di drenaggio linfatico: ascellare, interpettorale, e mammaria interna. I vasi linfatici della via laterale provengono dall’areola e precisamente dal plesso sottoareolare, al quale fanno capo i linfatici cutanei, buona parte della circolazione linfatica parenchimale ed i vasi satelliti dei dotti galattofori.
I vasi linfatici provenienti dal plesso, in numero da 2 a 4, seguono il margine inferiore del grande pettorale e raggiungono i linfonodi ascellari e precisamente il sottogruppo superiore del gruppo toracico, il quale è addossato al percorso dei vasi mammari esterni. I vasi linfatici retromammari derivano dalla parte profonda e posteriore della ghiandola, attraversano in parte il grande pettorale e decorrono tra questo muscolo ed il piccolo pettorale, terminando nel gruppo sottoclavicolare dei linfonodi ascellari; in parte seguono direttamente la via laterale, accompagnandosi a quelli già descritti innanzi. I linfonodi dell’ascella vengono suddivisi in tre gruppi a seconda del loro rapporto con il muscolo piccolo pettorale (livelli di Berg):
I livello: sono quelli localizzati nell’ascella, lateralmente al margine del piccolo pettorale;
II livello: sono localizzati sotto il muscolo piccolo pettorale;
III livello o apicale: sono situati medialmente al margine mediale del piccolo pettorale.
Non necessariamente i tre livelli sono raggiunti nell’ordine dalle metastasi, è possibile che queste arrivino ai linfonodi attraverso dotti che passano tra il grande ed il piccolo pettorale o dietro di essi (linfonodi di Rotter). I vasi linfatici che provengono dalla porzione mediale della ghiandola, dopo aver attraversato il muscolo grande pettorale e gli spazi intercostali, terminano nei linfonodi della catena mammaria interna (Dionigi et al., 2016).
La conoscenza dell’architettura normale della mammella è di grande utilità per comprendere da dove originano le malattie mammarie. La maggior parte dei tumori della mammella origina dai dotti, alcuni dai lobuli ed i restanti da altri tessuti mammari (Lopez M., 2005).
Figura in basso Drenaggio linfatico della mammella alle stazioni linfonodali. (1) linfonodi ascellari (2) linfonodi interpettorali che drenano all’apice dell’ascella (3) catena linfatica della mammaria interna (4) linfonodi sopraclaveari (5) linfatici che drenano all’ascella controlaterale (Dionigi et al., 2016)
Quali sono i tipi di tumore al seno?
La regione mammaria può andare incontro all’insorgenza di tumori che possono interessare oltre che l’epitelio e lo stroma della ghiandola vera e propria anche i tessuti molli, la cute ed il tessuto emopoietico e linfoide. Le patologie maligne della mammella sono generalmente divise in tumori epiteliali delle cellule, che rivestono i dotti ed i lobuli, e patologie maligne non epiteliali dello stroma di supporto. Una seconda importante divisione dei tumori epiteliali, che tiene conto della loro evoluzione, è tra carcinomi invasivi e non invasivi. Teoricamente i tumori non invasivi non possono metastatizzare e dovrebbero essere curabili mediante terapia locale nel 100% dei casi, ma ciò può risultare non sempre vero; un focolaio microscopico di invasione in un tumore altrimenti non invasivo può sfuggire anche al più esperto anatomopatologo.
– Carcinoma non invasivo: Le patologie maligne non invasive sono rappresentate dai carcinomi in situ, sia duttali sia lobulari, caratterizzati dalla proliferazione cellulare confinata alla membrana basale. La frequente coesistenza nella mammella del carcinoma in situ e del carcinoma invasivo è la prova palese della progressione del cancro attraverso stadi che vanno dalla proliferazione non invasiva, alla distruzione della membrana basale, fino all’ invasione dello stroma di supporto. Il carcinoma in situ merita un’attenzione particolare sia per la sua aumentata frequenza sia per le controversie tuttora esistenti circa il corretto trattamento.
– Carcinoma duttale in situ o carcinoma intraduttale: costituisce l’1% dei carcinomi della mammella, ma tale incidenza sembra essere in aumento in epoca recente, in rapporto alla migliore definizione istopatologica. Questo tumore origina dall’epitelio dei dotti; inizialmente non tende ad infiltrare lo stroma circostante, ma esiste una probabilità di evoluzione in carcinoma duttale infiltrante nel 40% dei casi. È spesso pluricentrico, come dimostrato dalla presenza di recidiva, dopo asportazione parziale della mammella, o dalla bilateralità, come osservato in alcuni casi. Nei carcinomi duttali in situ l’invasione metastatica dei linfonodi avviene in meno del 1-2% dei casi per cui la prognosi a distanza è generalmente buona.
Microcalcificazioni in carcinoma intraduttale (Dionigi et al., 2016)
– Carcinoma lobulare in situ: il carcinoma lobulare in situ rappresenta, nella maggior parte dei casi, un reperto istologico accidentale, associato ad altre lesioni benigne e maligne della mammella. È multicentrico nel 70% dei casi e bilaterale in circa il 20-40%. Istologicamente il tumore origina dai piccoli dotti terminali della ghiandola, che vengono distesi e obliterati da grappoli di cellule piccole e anaplastiche con un alto grado nucleare. La prognosi del carcinoma lobulare in situ è correlata all’eventuale insorgenza del carcinoma invasivo; circa 1/3 delle pazienti con un carcinoma lobulare in situ accertato all’esame bioptico sviluppa un carcinoma invasivo.
– Carninoma invasivo: vengono compresi in questa categoria tutti quei tumori della mammella nei quali è presente un’invasione stromale. La classificazione del carcinoma invasivo della mammella si è andata evolvendo in un arco di tempo molto lungo e, come risultato, ha incorporato un’ampia gamma di criteri quali: il tipo di cellule, qualità e quantità di secrezione, aspetti strutturali, modalità di diffusione (Dionigi et al., 2016).
– Carcinoma duttale infiltrante: è il tumore più comune, da solo rappresenta all’incirca il 75% di tutti i cancri della mammella ed origina dalle cellule epiteliali dei dotti galattofori. Col tempo, le cellule tumorali superano la membrana basale, penetrano nel tessuto adiposo mammario e possono, così, invadere i vasi linfatici o ematici diffondendosi in altre parti del corpo. C’è una rapida diffusione linfatica attraverso il tessuto mammario con una metastatizzazione ai linfonodi ascellari.
Carcinoma duttale infiltrante (www.senology.it)
– Carcinoma midollare: costituisce il 5-7% di tutti i carcinomi mammari, si manifesta come una lesione circoscritta che raggiunge grosse dimensioni (in media 3-4 cm di diametro). Situato, di solito, profondamente nei quadranti superiori della mammella, è di consistenza molle, con estese aree di necrosi. Nonostante la scarsa differenziazione cellulare e l’alto indice mitotico presenta capacità infiltrative moderate con scarsa tendenza ad invadere i linfonodi.
– Carcinoma tubulare: è un carcinoma ad alto grado di differenziazione e si riscontra in forma pura nell’1% dei casi, ma che può essere associato ad altre forme istologiche. Scarsa è la tendenza a dare metastasi, per cui la prognosi è la migliore fra i carcinomi duttali infiltranti, essendo guaribile in più del 90% dei casi (Lopez M., 2005).
– Carcinoma mucinoso o colloide: comprende all’incirca il 3% di tutti i carcinomi mammari. Compare in età più avanzata rispetto all’età media dei carcinomi mammari e con una storia preoperatoria di lunga durata. È un tumore a lenta crescita che può raggiungere grosse dimensioni, alla palpazione si apprezza una massa ben definita di consistenza molle. Questo carcinoma duttale è caratterizzato da nidi e ammassi di cellule epiteliali, spesso ben differenziate con aspetto ad anello con castone, immerse in una matrice mucinosa. Quando il tumore è prevalentemente mucinoso la prognosi tende ad essere migliore.
– Carcinoma papillare infiltrante: è un tumore raro non superando l’1% dei casi. Insorge più frequentemente nella metà inferiore della mammella. Rappresenta molto probabilmente uno stadio più tardivo o una forma più aggressiva della lesione papillare non infiltrante, dalla quale si differenzia per il carattere più invasivo e per l’assenza di una capsula. L’evoluzione è lenta e può raggiungere notevoli dimensioni prima di dare metastasi ai linfonodi ascellari che presentano anch’esse il caratteristico aspetto papillare. La prognosi è eccellente dopo terapia chirurgica.
– Carcinoma lobulare infiltrante: costituisce il 5-10% dei casi di carcinoma mammario. Origina dalle cellule degli acini e dai piccoli dotti terminali della ghiandola sede di focolai di carcinoma lobulare in situ. Frequente la multicentricità e la bilateralità. Nella sua forma più caratteristica il carcinoma lobulare infiltrante è costituito da cellule neoplastiche piccole e relativamente uniformi, disposte in fila indiana e delimitate da uno stroma abbondante, con aspetto denso-fibroso; esse si dispongono in modo concentrico intorno ai lobuli, sede spesso di neoplasia lobulare in situ.
– Carcinoma infiammatorio (mastite carcinomatosa): è un tumore più frequentemente osservato in giovani donne con mammelle voluminose, durante la gravidanza o nel periodo dell’allattamento. È un’entità che trova riscontro solamente sul piano clinico non essendo riferibile ad alcun particolare tipo istologico. La mammella interessata da tale neoplasia si presenta aumentata di volume e di consistenza, con intenso edema ed arrossamento della cute ed aumento del calore, rilevabile al termotatto, con bordi rilevati simili all’eresipela. La prognosi è quasi sempre infausta in quanto la maggior parte delle pazienti, al momento della diagnosi, presenta una diffusione metastatica regionale ai linfonodi ascellari e sopraclaveari, e a distanza.
– Malattia di Paget: tra i cancri della mammella la malattia di Paget rappresenta un’entità particolare la cui istogenesi non è ancora completamente chiarita; tale neoplasia è spesso associata ad altre forme di carcinoma mammario. Questo tipo di neoplasia colpisce l’1-4% di tutte le pazienti affette da cancro della mammella. Clinicamente la paziente riferisce una lunga storia di alterazioni eczematoidi del capezzolo con prurito, bruciore e sanguinamento locale, con interessamento anche dell’areola e della cute circostante. In effetti questa manifestazione clinica è secondaria all’insorgenza di un carcinoma primitivo dei dotti mammari del capezzolo, con successiva invasione cutanea, che nei 2/3 delle pazienti è palpabile. Esso può essere sia del tipo intraduttale sia del tipo duttale infiltrante.
La diagnosi, oltre che per l’alterazione del capezzolo, ben riconoscibile, è possibile mediante esame citologico delle cellule ottenute per apposizione diretta sull’ulcerazione cutanea. Istologicamente l’epitelio del capezzolo contiene nidi di cellule tumorali (cellule di Paget) con abbondante citoplasma chiaro e doppio nucleo. La prognosi di tale neoplasia è legata al tipo istologico del carcinoma ad essa associato.
Clinica e stadiazione del tumore al seno
Il cancro della mammella, alcune volte, può assumere nelle donne giovani rispetto alle anziane un andamento più maligno. La metà circa dei carcinomi della mammella sono localizzati nel quadrante supero-esterno, probabilmente per la presenza di una maggiore quantità di tessuto ghiandolare in tale sede, mentre l’alta percentuale di incidenza di tumori nella porzione centrale della mammella, è dovuta alla loro diffusione nella regione subareolare dai quadranti limitrofi. Inoltre la mammella sinistra è nel 5-10% più frequentemente interessata rispetto alla destra. La sede anatomica meno favorevole per il cancro della mammella è il quadrante infero-interno (Dionigi et al., 2016).
Distribuzione in percentuale del carcinoma della mammella nei diversi quadranti (Dionigi et al., 2016)
Il cancro della mammella si manifesta con modalità diverse a seconda dello stadio in cui perviene all’osservazione. La sintomatologia infatti è legata a diversi fattori quali: l’età della paziente, il tipo istologico, il grado di differenziazione cellulare ed infine la sua diffusione locale o a distanza. Di solito quando la neoformazione si rende apprezzabile clinicamente, un accurato esame obiettivo è in grado da solo di fornire quegli elementi utili per la diagnosi.
La lesione infatti si presenta di volume variabile, non dolente, di consistenza durofibrosa o duro-lignea, a margini irregolari e limiti indistinti, non dissociabile dai tessuti circostanti e poco mobile sui piani sia superficiali sia profondi. A conferma della diagnosi, nelle fasi più avanzate della malattia, il carattere infiltrativo della lesione può essere evidenziato dall’irregolarità del profilo della mammella, caratterizzata dalla retrazione della cute o del capezzolo, dalla presenza di eventuali secrezioni o ulcerazioni, dall’edema per diffusione nodulare dei linfatici intradermici con l’aspetto a buccia d’arancia della cute e dalla presenza di linfonodi ascellari o sopraclaveari.
I linfonodi ascellari clinicamente aumentati di volume sono nel 75% dei casi sede di metastasi al successivo esame istologico, mentre nel 25% dei casi è possibile riscontrare la presenza di micrometastasi in linfonodi ascellari indenni alla palpazione. Eventuali segni di una diffusione metastatica a distanza possono essere caratterizzati dalla presenza di dolori lombo-sciatalgici, da epatomegalia con o senza nodularità, da dispnea a riposo con o senza versamento pleurico.
A completamento dell’esame clinico, nei casi in cui sia palpabile una massa la cui diagnosi è incerta, sono indicate le indagini radiologiche e strumentali come la mammografia e la biopsia. La prima è importante nel rilevare quei segni suggestivi di una lesione maligna come le minute calcificazioni, la maggiore radiopacità del nodulo a margini irregolari e sfumati, da cui originano strie e travate dirette al capezzolo e alla cute, l’aumento di densità della ghiandola, l’ispessimento della cute, l’edema, segni di ipervascolarizzazione. L’esame bioptico invece è in grado di fornire quei dati utili sulla natura e le caratteristiche istopatologiche della lesione al fine di porre una diagnosi definitiva.
Oggi è meno frequente che nel passato osservare lesioni neoplastiche della mammella in una fase così avanzata da poter rilevare semeiologicamente i caratteri sopra descritti. Infatti, la possibilità di avvalersi di metodiche diagnostiche in grado di orientare ad una diagnosi precoce lesioni ancora in fase preclinica e quindi asintomatiche, rende tali neoplasie suscettibili di un trattamento terapeutico spesso curativo.
Sebbene la gran parte dei tumori della mammella siano a partenza dall’epitelio dei dotti o dalle cellule dei lobuli, esiste comunque, per ciascuna donna, un’ampia variazione nel loro accrescimento che influisce sulla prognosi complessiva. Anche se con qualche eccezione, la maggior parte dei tumori della mammella si sviluppa inizialmente all’interno di un dotto. In una fase successiva, man mano che il tumore aumenta di volume, si infiltra nello stroma periduttale, raggiunge le strutture linfatiche e vascolari ed infine diffonde ai linfonodi ascellari o ad altre stazioni linfatiche e agli organi a distanza. Nel tentativo di meglio comprendere e trattare il cancro della mammella, è stato proposto di raggruppare le lesioni nelle diverse fasi di accrescimento, in cinque stadi, al momento della diagnosi. In tal modo i cancri della mammella possono essere facilmente inquadrati:
– stadio 0: chiamato anche carcinoma in situ;
– stadio 1: è un cancro in fase iniziale, con meno di 2 cm di diametro e senza coinvolgimento dei linfonodi;
– stadio 2: è un cancro in fase iniziale di meno di 2 cm di diametro che però ha già coinvolto i linfonodi sotto l’ascella, oppure è un tumore di più di 2 cm di diametro senza coinvolgimento dei linfonodi;
– stadio 3: è un tumore localmente avanzato, di dimensioni variabili, ma che ha coinvolto già anche i linfonodi sotto l’ascella, oppure che coinvolge i tessuti vicini al seno (per esempio la pelle);
– stadio 4: è un cancro già metastatizzato che ha coinvolto altri organi al di fuori del seno (www.airc.it).
La stadiazione del cancro mammario è inizialmente clinica, formulata sulla base dell’esame obiettivo (ispezione e palpazione), degli esami radiologici (mammografia, ecografia epatica, e scintigrafia ossea) e successivamente istopatologica. I carcinomi mammari sono stati suddivisi in tre gradi istologici di malignità osservando l’entità di formazione dei tubuli, la dimensione delle cellule e dei nuclei, l’entità dell’ipercromatismo e il numero delle mitosi. I tumori con un basso grado di malignità sono stati definiti di grado 1 mentre quelli con un alto grado di malignità appartengono al grado 3.
Questo articolo è stato estratto dalla tesi: “Il percorso terapeutico assistenziale nella Breast Unit della donna affetta da carcinoma mammario: prevenzione degli esiti post-chirurgici”, gentilmente concessa dal Dott. Davide Polise che ringraziamo per il contributo.