La prostatectomia radicale (RP) è il trattamento più comune per il carcinoma prostatico clinicamente localizzato, essa prevede l’asportazione della ghiandola prostatica, delle vescicole seminali e nel caso in cui sia eseguita con tecnica di “nerve sparing” prevede la preservazione delle banderelle neurovascolari, composte dalla fascia dell’elevatore dell’ano e dalla fascia prostatica. Queste decorrono nella fascia pelvica laterale per riunirsi a ridosso dell’apice prostatico ed è proprio a questo livello che il rischio di lesionarle è elevato. Più recentemente, la tendenza è stata quella di passare a tecniche di laparoscopia (Laparoscopic Radical Prostatectomy, LRP) e, successivamente, di RP robotizzata (Robot Assisted Radical Prostatectomy, RARP).
Il rischio di rendere un paziente incontinente durante prostatectomia radicale si può rendere concreto in diversi momenti dell’intervento.
Le cause possono essere secondarie a:
- danno sfinterico;
- dislocazione della vescica;
- DO che altera l’unità vescico-sfinterica;
- danno misto.
Nelle diverse fasi dell’intervento è possibile lesionare per necessità le banderelle neurovascolari e i rami del plesso ipogastrico mentre si esegue l’asportazione delle vescicole seminali oppure durante il confezionamento dell’anastomosi vescico-uretrale nel momento del posizionamento dei punti di sutura si possono ledere le strutture nervose deputate alla continenza.
Lincontinenza urinaria nella Prostatectomia Radicale
L’ incontinenza urinaria postoperatoria è una delle complicanze più temute della RP, con un notevole impatto sulla qualità della vita. A causa del crescente numero di prostatectomia radicale effettuate per cancro alla prostata localizzato, si ha un numero considerevole e crescente di pazienti affetti da insufficienza urinaria da sforzo (SUI).
Nonostante il miglioramento delle tecniche chirurgiche, i tassi di SUI riportati sono tra il 5% e il 48,0%. Inoltre, soprattutto durante il primo anno dopo la prostatectomia radicale, si può manifestare la sintomatologia da vescica iperattiva (OverActivity Bladder, OAB), a causa del DO (Detrusor Overactivity) (fino al 77% dei pazienti) e per la ridotta compliance della vescica (fino al 50% dei pazienti).
Tuttavia, nella maggior parte dei casi la sintomatologia da OAB dopo circa un anno si autolimitano. Questa grande variazione nei tassi di incontinenza urinaria riportati dopo prostatectomia radicale può essere attribuita, in una certa misura, all’influenza esercitata dal medico intervistante così come dalla mancanza di una definizione standardizzata sia di “incontinenza post prostatectomia” che di “continenza post prostatectomia”.
Il tasso di continenza post prostatectomia radicale sembra dipendere da diversi fattori tra cui la metodologia di definizione (ad esempio, la definizione stessa di continenza: nessuna perdita in assoluto, la perdita di poche gocce di urina senza l’utilizzo di pads, un pad di sicurezza al giorno), fattori legati al paziente ad esempio.
- l’età,
- l’indice di massa corporea,
- la lunghezza uretrale,
- il volume della prostata,
- lo stato di continenza preoperatoria,
- l’insufficienza sfinteriale preoperatoria,
- la disfunzione detrusoriale preoperatoria),
- e la tecnica chirurgica (ad esempio, l’esperienza del chirurgo, l’approccio chirurgico, la tecnica di resezione, ecc.)
In generale, dopo prostatectomia radicale gli uomini con età < 50 anni mostrano una capacità di recupero della continenza significativamente migliore rispetto agli uomini con età > di 70 anni. Il ritorno alla continenza urinaria può essere condizionato da diversi fattori che l’operatore può o meno prevedere.
Un fattore di rischio preoperatorio è l’età infatti è stato osservato che con il progredire degli anni vi è già di per sé un peggioramento della continenza che può essere ulteriormente aggravato dall’intervento. Anche un elevato Body Mass Index (BMI) può essere correlato con un peggioramento della funzione urinaria come è stato osservato da Wolin e collaboratori (2010) che su un gruppo di 589 pazienti, a distanza di 58 settimane, ha evidenziato che i pazienti obesi e con attività fisica assente presentavano un peggioramento della funzione urinaria del 58% contro il 25% dei pazienti non obesi ma inattivi e il 24% di quelli obesi praticanti sport.
Questo è determinato anche dal fatto che l’attività fisica può ridurre il rischio di incontinenza urinaria perché aumenta il tono muscolare permettendo un più facile controllo della funzione urinaria. Ahlering e collaboratori (2005) mostrarono che su 100 pazienti sottoposti a (Radical Retropubic Prostatectomy, RRP), quelli obesi presentavano più frequentemente incontinenza urinaria.
Tra gli altri fattori di rischio vi possono essere altre patologie concomitanti, come il diabete mellito, precedenti interventi radioterapici, TURP (TransUrethral Resection of the Prostate), il volume prostatico, preesistente grado di incontinenza urinaria e lunghezza dell’uretra membranosa. Tra i fattori prognostici positivi intraoperatori possiamo ricordare la preservazione del collo vescicale, l’esecuzione della RRP (Radical Retropubic Prostatectomy) con “nerve sparing” nonché la curva di apprendimento dell’operatore.
D’altra parte, la sottostante DO (Detrusor Overactivity) , che può potenzialmente causare insufficienza urinaria da urgenza, è stata anche proposta come un altro potenziale meccanismo di incontinenza post prostatectomia. Rapporti precedenti che analizzano le caratteristiche urodinamiche postoperatorie dei pazienti con incontinenza post prostatectomia hanno riportato che iperattività detrusoriale (precedentemente indicato come instabilità del detrusore) è il secondo risultato più comune che va dal 33,7 al 40,0% dopo deficienza intrinseca dello sfintere (67,0-92,4%).
Inoltre, alcuni ricercatori hanno suggerito che l’iperattività detrusoriale preoperatorio può contribuire alla risoluzione ritardata dell’incontinenza post prostatectomia. Per questi motivi, recenti linee guida suggeriscono anche farmaci antimuscarinici come un’altra opzione di trattamento per l’insufficienza urinaria nei casi di pregressa l’iperattività detrusoriale. Tuttavia, quelle dichiarazioni mancavano di livello 1 o 2 prove.
Recentemente, i risultati di studi randomizzati controllati sull’efficacia della solifenacina sull’incontinenza post prostatectomia hanno indicato che non vi era alcuna differenza nel risultato primario (intervallo dalla prima dose alla continenza), ma alcuni benefici sugli esiti secondari (percentuale di pazienti continentali e numero dei pad usati alla fine dello studio). Questi risultati precedenti implicano che il DO sottostante può contribuire al verificarsi dell’incontinenza urinaria da urgenza postoperatoria dopo prostatectomia radicale; pertanto, può anche precipitare l’aggravamento dell’incontinenza post prostatectomia (PPI).
Terapia
Il trattamento dell’ incontinenza urinaria dopo prostatectomia radicale consta di tre diversi approcci:
- terapia conservativa,
- trattamento farmacologica,
- trattamento chirurgico.
Nel complesso, l’incontinenza Post-Prostatectomia ha un impatto importante sulla qualità della vita influendo sulla capacità di eseguire attività fisica, e sul benessere sociale in generale (Sanda et al, 2008). Per quanto riguarda l’incontinenza urinaria maschile l’European Association of Urology ha stilato delle linee guida sulla corretta gestione dell’incontinenza urinaria maschile che prevede due step di gestione del paziente (Schröder et al., 2010).
In genere la terapia conservativa è uno dei primi step terapeutici da proporre ai pazienti ed è utilizzata per la sua efficacia e non invasività. Tuttavia, nei pazienti con associata sintomatologia da vescica iperattiva, è raccomandata la farmacoterapia antimuscarinica come prima linea di trattamento nei primi 6-12 mesi (Schröder et al., 2010). In genere se dopo almeno 6 mesi dalla post pratectomia radicale retropubica, l’incontinenza urinaria persiste può essere indicato il trattamento chirurgico.
Terapia Conservativa
La terapia conservativa non invasiva per la gestione dell’incontinenza Post-Prostatectomia comprende interventi sullo stile di vita e la riabilitazione della muscolatura del pavimento pelvico (Pelvic Floor Muscle Training, PFMT). Più precisamente, le tecniche usate, in combinazione o singolarmente, nella riabilitazione della muscolatura del pavimento pelvico sono: il BioFeedBack (BFB), la stimolazione elettrica funzionale (Functional Electrical Stimulation, FES) e la Chinesiterapia Pelvi-Perineale (CPP).
La riabilitazione perineale è indicata come approccio terapeutico conservativo per l’insufficienza a tutti i livelli; può raggiungere il 70% di guarigione nei pazienti con insufficienza urinaria lieve. Dopo l’intervento di prostatectomia radicale, ai pazienti che presentano una lieve insufficienza urinaria viene sempre prescritto almeno un ciclo riabilitativo.
La riabilitazione è un metodo utilizzato nel recupero della continenza urinaria che sfrutta il potenziamento delle fibre muscolari dell’elevatore dell’ano e delle altre strutture del piano perineale, nella loro funzione di supporto sfintero-uretrale. Si basa sui seguenti principi:
- inibire l’insorgenza delle contrazioni detrusoriali involontarie;
- reprimere le contrazioni detrusoriali non inibite prima che queste causino incontinenza urinaria;
- rafforzare il meccanismo sfinterico;
- convertire le fibre a contrazione rapida periuretrali e dell’elevatore dell’ano in fibre a contrazione lenta.
In letteratura viene sottolineata l’importanza della riabilitazione della muscolatura del pavimento pelvico nella gestione della PPI.
La riabilitazione della muscolatura del pavimento pelvico pre-operatoria o post-operatoria è utile (grado di raccomandazione: B, livello di evidenza: 2) e se correttamente supervisionata è considerata il trattamento conservativo non invasivo più ampiamente raccomandato (Schröder et al., 2010) accelerando il ritorno alla continenza dopo l’intervento chirurgico alla prostata.
In generale, la maggior parte delle raccomandazioni per la riabilitazione della muscolatura del pavimento pelvico si basano su un ampio consenso di esperti di incontinenza urinaria e prove multiple della sua efficacia clinica e della sua sicurezza. Gli studi sulla riabilitazione mostrano un ritorno alla continenza, tanto più la terapia è iniziata precocemente nel periodo postoperatorio. Tuttavia non vi sono dati oggettivi che indichino il momento ottimale per iniziare la fisioterapia dopo chirurgia prostatica, anche se sulla base dell’esperienza degli autori si raccomanda di iniziare la fisioterapia subito dopo la rimozione del catetere.
Una riabilitazione della muscolatura del pavimento pelvico nell’immediato postoperatorio riduce in modo significativo il tempo di recupero della continenza dopo l’intervento chirurgico (Hunter et al., 2009). In uno studio randomizzato su 300 pazienti, il gruppo sottopostosi a riabilitazione della muscolatura del pavimento pelvicoha mostrato un tasso di continenza notevolmente migliore rispetto al gruppo di controllo (19% vs 8% dopo 1 mese e il 94,6% vs 65% dopo 6 mesi) (Filocamo et al., 2005).
Tuttavia, molti urologi consigliano di eseguire la riabilitazione della muscolatura del pavimento pelvico prima dell’intervento chirurgico alla prostata, soprattutto prima di una prostatectomia radicale.
In anni più recenti alcuni studi hanno indagato gli effetti della riabilitazione della muscolatura del pavimento pelvico somministrata prima dell’intervento o immediatamente dopo (meno di sei settimane dopo l’intervento) evidenziandone gli effetti sulla durata e sulla severità (Sueppel & See, 2001; Centemero et al., 2010). Secondo gli autori, iniziare il training riabilitativo prima dell’intervento permette ai pazienti di essere maggiormente preparati al recupero della continenza e consente una miglior comprensione dell’attivazione dei muscoli pelvici in assenza di incontinenza urinaria e di dolore.
Nonostante la riabilitazione della muscolatura del pavimento pelvico sia nota come trattamento conservativo per l’incontinenza urinaria, una revisione Cochrane ha rilevato come non ci fossero sufficienti evidenze sulla sua efficacia (Campbell et al, 2012).
Questo dato potrebbe essere spiegato dalla breve durata della riabilitazione della muscolatura del pavimento pelvico. Infatti, molti studi hanno riportato che i loro pazienti iniziavano il trattamento solo dopo la rimozione del catetere (Moore et al., 1999; Parekh et al., 2003).
Nonostante la mancanza di evidenze incontrovertibili, il trattamento riabilitativo post-prostatectomia radicale continua ad essere indicato come primo approccio terapeutico per l’incontinenza urinaria a tutti i livelli.
In un recente studio randomizzato dove i pazienti iniziavano la riabilitazione della muscolatura del pavimento pelvico 3 settimane prima dell’intervento (Geraerts et al., 2013) si sono ottenuti risultati contradditori rispetto ai precedenti studi, mentre in un altro lavoro randomizzato, dove i pazienti iniziavano la riabilitazione muscolare del pavimento pelvico con Biofeedback 4 settimane prima dell’intervento, si avevano addirittura maggiori benefici nel gruppo di controllo (Dijkstra‐Eshuis et al., 2015).
Questi risultati conflittuali possono essere attribuiti alla scarsa grandezza del campione esaminato e/o alla qualità dello studio.
Burgio e collaboratori in un lavoro del 2006, ipotizzano che insegnare gli esercizi per attivare il pavimento pelvico prima dell’intervento possa aiutare i pazienti a capire lo scopo degli stessi e permetta loro di apprendere come attivare tali muscoli prima che subentri il danno chirurgico. Successivamente questo dato è stato dimostrato dallo studio di Centemero e collaboratori (2010), che ha mostrato tassi di continenza significativamente migliori a 3 mesi nel postoperatorio in pazienti che avevano eseguito la riabilitazione muscolare del pavimento pelvico preoperatoria (59,3%) rispetto ai pazienti che hanno iniziato dopo l’intervento (37,3%) (Centemero et al, 2010).
Parlando più nel dettaglio delle diverse tecniche utilizzate, il Bio Feed Back (Basmajian, 1981; O’donnell et al, 1991) si basa sul principio di rendere cosciente il paziente su eventi fisiologici, grazie a degli apparecchi che registrano, amplificano e trasformano questo segnale fisiologico in uno percettibile.
Esempio di BFB (dal sito Harvard Health Publishing)
È necessario nelle fasi iniziali della rieducazione pelvica in quanto permette una presa di coscienza del piano perineale, l’apprendimento del corretto pattern motorio della muscolatura perineale e del muscolo elevatore dell’ano. Il paziente percepisce la contrazione muscolare e la sua intensità aiutandosi con stimoli visivi o sonori così da avere chiaro quando questa viene eseguita in modo corretto.
Il trattamento è costituito da una sonda rettale collegata a un apparecchio dotato di schermo, su cui sono visibili led luminosi, ed elettrodi di superficie posizionati sull’addome che registrano l’attività muscolare. L’utilizzo del Bio Feed Back esige comunque una partecipazione attiva del paziente al programma terapeutico e trova indicazione elettiva in caso di mancanza di sinergia perineale.
I dati relativi alla riabilitazione con Bio Feed Back sono controversi. Recenti studi hanno confrontato la riabilitazione muscolare del pavimento pelvico con Bio Feed Back versus nessun trattamento mostrando risultati significativamente migliori nel gruppo trattato (nessun pad dopo 3 mesi: 65,4-88% vs 28,6-56%, nessun pad dopo 6 mesi: 80,8-95% vs 54,3-77 %) (Ribeiro et al., 2010; Van Kampen et al.,2000). Tuttavia, altri studi non hanno mostrato alcuna differenza (Goode et al,2011; Moore et al, 2008).
Secondo le linee guida EAU (Schröder et al., 2010), il Bio Feed Backcome terapia aggiuntiva è attualmente una decisione del terapeuta basata su economia e preferenze del paziente stesso (grado di raccomandazione: B, livello di evidenza: 3).
La Chinesiterapia Pelvi-Perineale (CPP) è un insieme di esercizi attivi che coinvolgono le strutture muscolari e fascio-legamentose del bacino ed il pavimento pelvico in rapporto a diverse situazioni posturali, respiratorie e dalla dinamica corporea.
Questa tecnica utilizza un approccio sequenziale che prevede inizialmente la presa di coscienza della regione perineale valutando la:
- contrazione fasica,
- l’endurance
- l’affaticabilità.
Segue l’eliminazione delle sinergie agoniste e antagoniste ed il training muscolare specifico per il muscolo elevatore dell’ano. L’ultimo step è quello più difficile da completare e prevede l’automatizzazione della muscolatura perineale in rapporto agli stress quotidiani. In questa fase gli esercizi richiedono una fondamentale integrazione corticale che coordini i diversi gruppi muscolari nonché di automatizzare la muscolatura perineale in rapporto agli aumenti di pressione della muscolatura perineale.
L’efficacia di questa terapia è stata valutata in molti studi. Nello studio di Manassero e collaboratori (2001) è stata eseguita terapia riabilitativa in un gruppo di pazienti sottoposti a prostatectomia radicale retro pubica per carcinoma prostatico che dopo l’intervento presentavano incontinenza urinaria. I pazienti sottoposti ad una precoce terapia riabilitativa, rispetto a quelli del gruppo controllo, presentavano un miglioramento della qualità di vita, riduzione delle perdite urinarie; l’età avanzata influiva negativamente sul recupero della continenza (Manassero et al, 2001).
La Stimolazione elettrica funzionale (Fall & Lindström, 1991) è una forma di riabilitazione passiva che si pratica solo su quei pazienti che presentino una parziale innervazione motoria e sensitiva ed ha lo scopo di riprodurre meccanismi riflessi muscolo cutanei e propriocettori che possono avere un effetto nella riorganizzazione dei sistemi neuronali centrali e periferici.
Esempio di stimolazione elettrica funzionale (dal sito Liberty From Incontinence)
L’elettrostimolazione diretta utilizza sonde endorettali che a livello periferico inducono depolarizzazione delle fibre motrici somatiche del nervo pudendo determinando contrazione del perineo e del pavimento pelvico mentre a livello delle fibre sensitive induce contrazione della muscolatura perineale e inibisce l’iperattività detrusoriale. A livello centrale invece cerca di riorganizzare, coordinare e far prendere coscienza dell’attività muscolare perineale al paziente.
L’elettrostimolazione può avvenire in due modi:
- L’Acute Maximal Functional Electrical Stimulation (AMFES) in genere si svolge in circa 10 sedute della durata massima di 30 minuti con 5 secondi di tempo di lavoro e 10 secondi di riposo, utilizzando correnti monofasiche con intensità ai limiti della tollerabilità del paziente. Si utilizza prevalentemente nel DO e nell’urgenza sensitiva detrusoriale.
- La Chronic Low Intensity Stimulation (CLIS) utilizza stimoli bifasici di intensità ridotta con una durata di trattamento maggiore. Le frequenze usate per il DO sono di 5-10 Hz mentre per l’ipovalidità detrusoriale si arriva a 50 Hz con impulsi di durata pari a 0,5 secondi. Per il trattamento della SUI si preferisce utilizzare un approccio combinato che prevede una stimolazione iniziale di 20 Hz per metà seduta e di 50 Hz per la restante parte oppure per l’incontinenza urinaria mista si utilizzano una stimolazione con tre frequenze 10, 20, e 50 Hz.
Diversi studi hanno dimostrato i benefici della stimolazione elettrica funzionale per l’incontinenza urinaria da sforzo post psostatectomia radicale (Sotiropoulos et al., 1976; Yamanishi et al., 2010; Mariotti et al., 2009). In un recente studio prospettico randomizzato, i pazienti con la stimolazione elettrica funzionale e il Bio feed back erano continenti dopo un tempo medio di 8,0 settimane mentre in coloro che avevano eseguito solo riabilitazione muscolare del pavimento pelvico con istruzioni verbali erano necessarie 13,88 settimane per riguadagnare la continenza (Mariotti et al., 2009). Tuttavia, la stimolazione elettrica funzionale non ha fornito alcun beneficio in diversi altri studi (Goode et al., 2011; Wille et al., 2003; Moore et al., 1999) e, pertanto, non sembra essere di beneficio (Grado di raccomandazione: B, livello di evidenza: 2) (Schröder et al., 2010).
Interventi sullo stile di vita come la minzione ad orario, la riduzione nell’assunzione di liquidi, e la riduzione di irritanti della vescica, quali caffè e spezie piccanti sono raccomandati per l’incontinenza post prostatectomia dall’EAU (Schröder et al., 2010) nonché dalla International Continence Society . Uno studio recente ha dimostrato l’impatto positivo della terapia comportamentale sull’incontinenza urinaria da urgenza persistente > 1 anno dopo RP (Goode et al, 2011). Tuttavia, al momento non ci sono buoni dati oggettivi clinici per queste raccomandazioni (grado di raccomandazione: nessuna raccomandazione possibile).
Possiamo quindi concludere che nei pazienti in cui permane insufficienza urinaria dopo prostatectomia radicale è assolutamente consigliabile come primo provvedimento terapeutico la riabilitazione muscolare del pavimento pelvico T in quanto è un approccio non invasivo, privo di effetti collaterali e capace di migliorare la continenza del paziente.
Trattamento Farmacologico
I farmaci (Sanda et al.,2008; Wein, 1995) maggiormente usati nel trattamento dell’UI sono gli anticolinergici e i miorilassanti anche se il loro impiego varia a seconda dell’eziologia dell’UI. Gli anticolinergici sono inibitori competitivi dell’acetilcolina e vanno a bloccare gli effetti muscarinici; generalmente sono impiegati nell’UI da DO e le molecole più utilizzate sono ossibutina, tolterodina, cloruro di trospio, solifenacina e la fesoterodina. Queste agiscono aumentando la capacità vescicale, riducendo la frequenza delle contrazioni detrusoriali involontarie e ritardando il desiderio iniziale di urinare. Possono dare come effetti collaterali secchezza della bocca e degli occhi, stitichezza, dispepsia e negli anziani può essere evidenziato un calo cognitivo e stato confusionale in particolare se affetti da demenza. Talvolta questi farmaci possono mostrare un’efficacia tale da impedire la minzione e dover ricorrere a cateterismo intermittente. Per i pazienti con ulteriore sintomatologia da OAB dopo l’intervento chirurgico alla prostata, sono raccomandati i farmaci antimuscarinici (grado di raccomandazione: C, livello di evidenza: 3) (Schröder et al., 2010). I miorilassanti esercitano un’azione diretta sul muscolo liscio e possono avere anche effetti anticolinergici. La molecola maggiormente usata è il flavossato che ha effetti rilassanti sulla muscolatura liscia dell’apparato urinario e genitale. Può presentare come effetti collaterali gli stessi degli anticolinergici anche se in misura notevolmente ridotta e transitoria ma è controindicato in pazienti con ostruzione del tratto digerente ed emorragie.
L’imipramina è un antidepressivo triciclico ed ha un effetto rilassante sulla muscolatura vescicale liscia, azione simpatico mimetica sul sistema nervoso centrale e a livello sfinteriale determina un aumento del tono sfinterico. Deve essere somministrata con cautela negli anziani in quanto può dare ipotensione e sedazione.
La Duloxetina è un antidepressivo appartenente alla classe degli inibitori della serotonina e noradrenalina ed è il principale farmaco utilizzato nella SUI. La sua azione è quella di ridurre la sintomatologia in quanto induce un aumento della pressione di chiusura uretrale, agendo così a livello dello sfintere esterno. Gli effetti collaterali che più frequentemente può dare sono nausea soprattutto all’inizio del trattamento, ma può anche affaticamento, stipsi, insonnia e sonnolenza.
Al momento, non esiste nessuna terapia farmacologica approvata per la SUI.
Tuttavia nella donna che ne è affetta l’uso di Duloxetina, un inibitore della ricaptazione della serotonina e noradrenalina, è una terapia approvata in molti paesi europei (Mariappan et al., 2007). Negli ultimi anni, l’efficacia è stata valutata anche per l’uso negli uomini.
Attualmente, esistono due studi randomizzati controllati (uno di questi studi è stato solo Duloxetina singolo cieco e combinato con PFMT) (Filocamo et al., 2007; Cornu et al., 2011) hanno mostrato buoni effetti. Nel studio randomizzato controllato con placebo, una riduzione media di episodi di UI del 52,2% è stato raggiunto dopo 12 settimane di 80 mg di Duloxetina con un significativo miglioramento visto dopo solo 8 sett. Gli effetti collaterali principali inclusi affaticamento (50% vs 13% nel gruppo placebo), insonnia (25% vs 20%), calo della libido (19% vs 7%), costipazione (13% vs 7%), nausea (13 % vs 7%), diarrea (13% vs 7%), e secchezza delle fauci (6% vs 0%) (Cornu et al., 2011). Spesso questi effetti collaterali sono stati lievi, e la maggior parte dei sintomi si sono risolti dopo un breve periodo.
Inoltre, uno studio ha mostrato un significativo effetto sinergico della Duloxetina in combinazione con la PFMT (Filocamo et al., 2007). L’uso di Duloxetina non è approvato per il trattamento della PPI, e deve essere fatta particolare attenzione perché questa terapia che può essere prescritta solo come off-label.
Trattamento Chirurgico
Nei pazienti con UI persistente dopo RP, il trattamento chirurgico è raccomandato quando fallisce il trattamento conservativo non invasivo. Non ci sono nelle linee guida, tuttavia, indicazioni riguardo al timing di trattamento chirurgico postoperatorio. La continenza può migliorare in modo significativo durante il primo anno dopo l’intervento chirurgico (Galli et al, 2006), e alcuni studi mostrano un miglioramento continuo entro i primi 2 anni (Lepor & Kaci, 2004). In generale, l’intervento chirurgico dovrebbe essere proposto solo se l’UI è stabilizzata e non può essere ottenuto nessun ulteriore miglioramento della continenza con un trattamento conservativo, fino al 10% dei pazienti con PPI finiscano per necessitare di trattamento chirurgico (Penson et al, 2005; Stanford et al, 2000).
Questo articolo è stato estratto dalla tesi: “Il Ruolo dell’Iperattività Detrusoriale nell’Incontinenza Urinaria Post-Prostatectomia Radicale”, gentilmente concessa dal Dott. Roberto Iazzetta che ringraziamo per il contributo.
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